giovedì 2 dicembre 2010

nuove realtà

La domanda della settimana è ora una sola: comprare le catene o gli pneumatici invernali? O tutti e due? A Roma certi problemi non esistevano, ma qui ieri sembrava il paese di babbo Natale, con fiocchi che cadevano grossi come noci. Salire la rampa del garage, nemmeno 4 metri, è stata un'impresa da rallysta.
E però andare a fare colazione al bar avvolti dal bianco e dal rumore attutito della neve è sensazione che ripaga di ogni disagio. Bisogna solo organizzarsi, e capire i nuovi ritmi. Che qui di fretta è meglio non fare nulla.




mercoledì 24 novembre 2010

Si lavora


... e nonostante la foto fuori non c'è Silent Hill. ( © er Bocchio )

mercoledì 17 novembre 2010

Foto

L'appartamento comincia a assumere un aspetto di casa. Il salotto/tinello:


Il corridoio con "l'appeso" davanti alla stanza di Marco (e degli ospiti):


Lo studio:




Mi piace questo posto, comincio a sentirlo mio, è una bella sensazione, un luogo che posso chiamare casa.

lunedì 1 novembre 2010

Traslochi

Il nuovo indirizzo di questo blog è http://abiteroafiorenzuola.blogspot.com/

venerdì 15 ottobre 2010

E linea fu

Oggi in meno di due ore risolto tutto, arrivato il tecnico Telecom, gentilissimo, all'ora spaccata. A seguire il tecnico fastweb che ha implementato un bellissimo modem Wi-fi. Blu scuro con le lucine colorate (si, lo so, sono fatti tutti uguali, ma a me è sembrato bellissimo lo stesso). Quindi, a parte la cucina che mi costerà lacrime, sangue e soprattutto bigliettoni, direi che il trasloco è concluso, la residenza acquisita, gli allacci e le volture fatte.
Sono fiorenzuolano. E Domani è San Fiorenzo, festa patronale. Meglio di così...

martedì 12 ottobre 2010

Internet Point

Trasloco praticamente ultimato. Si torna a una parvenza di normalità, presto foto e notizie.
Ovviamente niente linea, per quello i santoni di Fastweb richiedono del tempo. Nemmeno posassero le linee col loro sangue.


Bella Fiorenzuola. Si.

martedì 7 settembre 2010

Si cambia 2

Giustamente cambia anche l'intestazione del blog (no, header non lo scrivo). E probabilmente cambierà anche il tempo del verbo, ma non c'è fretta. Riuscirò a cambiare anche l'indirizzo? Chissà?!?

lunedì 6 settembre 2010

Si cambia

Tra quindici giorni vado a firmare il contratto per l'affitto della mia nuova casa.
A Fiorenzuola d'Arda, provincia di Piacenza.
Quindi per ora direi addio Occhiobello, anche se nella vita chi può dire?
Piacenza dunque. l'ultima provincia dell'Emilia. Scelta dettata da varie esigenze, prima delle quali la vicinanza a mio figlio.
Un nuovo inizio. Bene! 

domenica 4 luglio 2010

Avviso ai naviganti



È un po’ che ho preso a considerare Trenitalia un’impresa a delinquere, è una crociata personale, peggio che combattere i mulini a vento però, perché le alternative spesso sono peggiori del male. Consiglio comunque un paio di accorgimenti che possono portare qualche vantaggio e la soddisfazione di essere stati quantomeno più furbi di loro. Consolazione magra? Si, ma consolazione.
Volete viaggiare comodi? Più comodi che sul Freccia rossa? Se non avete troppa fretta prendete un biglietto di prima classe dell’Intercity che copre la stessa tratta. Si spende di meno della seconda classe del Freccia rossa (o argento), si viaggia su sedili larghi e comodi e di solito in carrozze semivuote.
Volete andare da Roma all’aeroporto di Fiumicino senza pagare l’assurdo prezzo imposto da Trenitalia? Basta dividere il biglietto in due tratte, e se non partite da Termini non dovete nemmeno cambiare treno. Un esempio:


Scommetto che se si prova con altri collegamenti tra città e aeroporti si può fare anche altrove.

venerdì 25 giugno 2010

Toccato il fondo, si può sempre scavare

Ieri sono uscito di casa per andare a vedere la partita dell'Italia da mio fratello. C'era poca gente in giro e tranquillamente mi sono diretto alla fermata dell'autobus. Accanto alla palina dell'Atac c'è un tabellone pubblicitario, non l'ho nemmeno notato troppo, che ormai con il bombardamento di immagini che c'è a volte uno fa fatica a concentrarsi. Solo dopo un po' ho registrato che era un manifesto del PD. E a quel punto non ho potuto fare a meno di fotografarlo, per quanto nell'inadeguatezza del mio cellulare.
Io non lo so se costoro stanno bene, e se hanno una pur vaga idea di cosa cazzo combinino. Mi viene da sperare di no.



martedì 15 giugno 2010

Irrevocabili decisioni

Ci sono momenti in cui tocca decidere se conservare tutto o perdere qualche pezzo per arrivare a qualcosa. Ho scelto di tagliare.

martedì 1 giugno 2010

Perché a Milano i ciclisti viaggiano sui marciapiedi?

Sarà che la maggior parte delle strade di Milano ha marciapiedi così spaziosi che ci parcheggiano sopra le macchine? O che i milanesi effettivamente non mi sembra brillino per tolleranza quando sono alla guida (e poi dicono dei romani...)? Però passare rasente alle entrate dei negozi o dei portoni a venti orari in bicicletta a me sembra da pirla.

giovedì 20 maggio 2010

il faticoso mestiere dell'immobiliarista

Ho trovato tre appartamenti che potrebbero corrispondere a quello che cerco, il primo doveva essere stato abitato da un daltonico


Il secondo, chissà per quale oscuro motivo, è stato fotografato all'infrarosso, tipo da un commando della SAS


Il terzo sembra più normale, se si eccettua l'abitatore della vasca...

Penso che potrei fare soldi con corsi di fotografia applicata per agenti immobiliari, si.




venerdì 7 maggio 2010

Appunti

Un tavolo da lavoro di dimensioni doppie a quello di ora, magari due. Col tavolo luminoso incorporato.
Una libreria grande, con i volumi divisi per argomenti. E la voglia di rimetterli in ordine ogni volta che li uso.

Ah... l'iMac nuovo, col processore Intel i7.

martedì 4 maggio 2010

Vedi napoli...

Napoli è una città che accoglie e respinge, non c'ero mai stato nonostante la vicinanza con Roma. Ho trovato un luogo che a tratti corrispondeva esattamente con l'idea che ne avevo, luoghi comuni forse, ma rispettati come si andasse a vedere una replica a teatro. Eppure c'è sempre qualcosa che sfugge. Come i gioielli che ti appaiono improvvisi, in mezzo alle case sempre un po' fatiscenti, chiese, piazze, palazzi, guglie che esplodono improvvise negli occhi. O il droghiere che ti chiede una cartolina perché ne fa collezione, che ti prepara il panino più buono del mondo e alla fine ti chiede di fare una foto insieme. O il cameriere allampanato e strascicato che sembra preso di peso da una commedia di Eduardo. O il ragazzetto che ti sfreccia come un missile sullo scooter, frenando con doppia derapata e infila un vicolo alla velocità della luce. Rigorosamente senza casco, come quasi tutti d'altronde.
E un pomeriggio a Capodimonte, quasi soli tra meraviglie incredibili, come un regalo prezioso.




giovedì 29 aprile 2010

Ricordi

Ieri è morto il papà di una mia cara amica.
Sono passati già dieci anni da quando morì il mio. Non so perché, ma avevo dimenticato una cosa e questo evento me l'ha ricordata.
Papà era già malato, sapevo che non sarebbe vissuto tanto. Una mattina, doveva essere verso la fine di giugno, mi svegliai molto presto e non avendo più sonno andai in terrazzino a guardare il sole che sorgeva. Sono stato lì per un bel po' a pensare, poi sono rientrato in casa. Da quel giorno mi sono messo la sveglia e ogni mattina guardavo il sole che sorgeva sui tetti delle case vicine, mi preparavo la colazione, prendevo un paio di vecchie guide di Roma, un quaderno e piano piano mi appuntavo itinerari. Sceglievo con cura luoghi e percorsi, non lunghi però, massimo tre o quattro punti di interesse a escursione. Per un mese sano, tutte le mattine che ho potuto.
Volevo portarci papà, volevo portarlo in gita nella sua città, nei luoghi che lui conosceva e amava, perché diventassero nostri. Per un mese ho coltivato un sogno.
Quegli itinerari poi non l'ho mai fatti con mio padre, non so, non c'è stato il tempo, non ci sono state le forze. Forse mi sono reso conto che era una solo una mia esigenza.
Gli ultimi mesi papà non ci riconosceva nemmeno più. Per anni non gli ho perdonato di essersene andato così. Forse non mi sono perdonato di non avergli detto tante cose.
Penso che cercherò quel quaderno.

Franco Raffaelli 1928 - 2000

martedì 27 aprile 2010

Low tech

Da quando la linea A della metropolitana di Roma è stata inaugurata nessuno è mai riuscito a sincronizzare i gradini delle scale mobili con i corrimano. Sul serio, sono 30 anni che se appoggi la mano salendo sulle scale mobili arrivi in cima col braccio disteso che quasi caschi in avanti.
In compenso sul Freccia Rossa la linea telefonica su tutta la tratta Milano - Roma è un'utopia. A meno che non hai un Tim, tanto per parlare di libero mercato.
E la prima fermata di Corso Francia dell'Atac ha due panchine semi-appaiate e completamente diverse, oltre a essere pulite con cadenza centennale.
per oggi ho finito...

sabato 10 aprile 2010

Il punto


Momenti migliori, momenti peggiori. Stagioni della vita, forse.
Passaggi che sembrano semplici improvvisamente ardui. Decisioni, che non mi sono mai facili.
Ma come mi ha detto Ornella: sei divorziato, hai appena fatto il passaporto e tra poco avrai anche qualche soldo. Vero, le pareti della nostra prigione siamo noi a edificarle, e siamo noi che possiamo abbatterle. Il tempo in fondo è una variabile sciocca, cos'è l'eternità di fronte ai tuoi desideri?
Occhiobello si allontana, Occhiobello si avvicina.
E se ti chiedo un cono con stracciatella e cocco non mi puoi dare un cono cocco e stracciatella, perdio!

mercoledì 24 marzo 2010

Libera Me Domine.

 cit.
"All'amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s'impone all'essere umano, l'antica Grecia ha dato il nome di eros. Diciamo già in anticipo che l'Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all'amore — eros, philia (amore di amicizia) e agape — gli scritti neotestamentari privilegiano l'ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini. Quanto all'amore di amicizia (philia), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell'amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore. Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall'illuminismo, questa novità è stata valutata in modo assolutamente negativo. Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?

Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l'eros? Guardiamo al mondo pre-cristiano. I greci — senz'altro in analogia con altre culture — hanno visto nell'eros innanzitutto l'ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una « pazzia divina » che strappa l'uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d'importanza secondaria: « Omnia vincit amor », afferma Virgilio nelle Bucoliche — l'amore vince tutto — e aggiunge: « et nos cedamus amori » — cediamo anche noi all'amore. Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione « sacra » che fioriva in molti templi. L'eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino.

A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell'unico Dio, l'Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l'eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell'eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute, che devono donare l'ebbrezza del Divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la « pazzia divina »: in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa. Per questo l'eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, « estasi » verso il Divino, ma caduta, degradazione dell'uomo. Così diventa evidente che l'eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.

Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell'eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che tra l'amore e il Divino esiste una qualche relazione: l'amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall'istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell'eros, non è il suo « avvelenamento », ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.

Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell'essere umano, che è composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell'eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. L'epicureo Gassendi, scherzando, si rivolgeva a Cartesio col saluto: « O Anima! ». E Cartesio replicava dicendo: « O Carne! ». Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l'uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l'uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l'amore — l'eros — può maturare fino alla sua vera grandezza.

Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L'eros degradato a puro « sesso » diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell'uomo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L'apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l'uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l'eros vuole sollevarci « in estasi » verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni.

Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l'amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici, uno dei libri dell'Antico Testamento ben noto ai mistici. Secondo l'interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d'amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l'amore coniugale. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che, nel corso del libro, si trovano due parole diverse per indicare l'« amore ». Dapprima vi è la parola « dodim » — un plurale che esprime l'amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola « ahabà », che nella traduzione greca dell'Antico Testamento è resa col termine di simile suono « agape » che, come abbiamo visto, diventò l'espressione caratteristica per la concezione biblica dell'amore. In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l'esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l'amore diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

Fa parte degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività — « solo quest'unica persona » — e nel senso del « per sempre ». L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità. Sì, amore è « estasi », ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà » (Lc 17, 33), dice Gesù — una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere.

Le nostre riflessioni, inizialmente piuttosto filosofiche, sull'essenza dell'amore ci hanno ora condotto per interiore dinamica fino alla fede biblica. All'inizio si è posta la questione se i diversi, anzi opposti, significati della parola amore sottintendessero una qualche unità profonda o se invece dovessero restare slegati, l'uno accanto all'altro. Soprattutto, però, è emersa la questione se il messaggio sull'amore, a noi annunciato dalla Bibbia e dalla Tradizione della Chiesa, avesse qualcosa a che fare con la comune esperienza umana dell'amore o non si opponesse piuttosto ad essa. A tal proposito, ci siamo imbattuti nelle due parole fondamentali: eros come termine per significare l'amore « mondano » e agape come espressione per l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato. Le due concezioni vengono spesso contrapposte come amore « ascendente » e amore « discendente ». Vi sono altre classificazioni affini, come per esempio la distinzione tra amore possessivo e amore oblativo (amor concupiscentiae – amor benevolentiae), alla quale a volte viene aggiunto anche l'amore che mira al proprio tornaconto.

Nel dibattito filosofico e teologico queste distinzioni spesso sono state radicalizzate fino al punto di porle tra loro in contrapposizione: tipicamente cristiano sarebbe l'amore discendente, oblativo, l'agape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto quella greca, sarebbe caratterizzata dall'amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè dall'eros. Se si volesse portare all'estremo questa antitesi, l'essenza del cristianesimo risulterebbe disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell'esistere umano e costituirebbe un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente tagliato fuori dal complesso dell'esistenza umana. In realtà eros e agape — amore ascendente e amore discendente — non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere. Anche se l'eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente — fascinazione per la grande promessa di felicità — nell'avvicinarsi poi all'altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell'altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà « esserci per » l'altro. Così il momento dell'agape si inserisce in esso; altrimenti l'eros decade e perde anche la sua stessa natura. D'altra parte, l'uomo non può neanche vivere esclusivamente nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l'uomo può — come ci dice il Signore — diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (cfr Gv 19, 34)."

lunedì 22 marzo 2010

Festa del papà

Io visto da Marco, regalo per il 19 marzo.

giovedì 25 febbraio 2010

Lezioni di tennis

martedì 16 febbraio 2010

Aggiornamenti

Sono ancora vivo. E Occhiobello è sempre più vicina.

martedì 2 febbraio 2010

La dolce vita


Cinquant'anni fa, i primi di febbraio, usciva nei cinema italiani La dolce vita di Federico Fellini. Nella filmografia del regista seguiva, dopo un Oscar per La strada, due parziali insuccessi e precedette 8½. Insomma, un film che fu lo spartiacque della carriera di Fellini. Un film che segnò anche un punto fermo della storia del nostro paese. Se esistono date che dividono un prima da un dopo l'uscita de La dolce vita non si può non annoverare tra queste. Era appena iniziato il 1960, moriva un mondo che era ancora legato alla guerra e alla ricostruzione e iniziava quello che anni dopo sarebbe stato definito il boom economico, anche se in relatà lo si conobbe quando era già finito, fagocitato da quelli che ci avevano illuso di esserne i creatori.

La dolce vita è quindi un film di confine, in cui si vede il nuovo che avanza, spesso senza sapere dove sia la strada, e il vecchio che si controce ma non muore. La dolce vita preannuncia un mondo dove ognuno gioca per sè, non sapendo più a chi guardare.

Ma soprattutto La dolce vita è un film bellissimo sulla vita e sulla morte.
Seguendo la storia di Marcello che sembra essere solo sfiorato da quello che gli succede intorno, eppure ne è prigioniero. Marcello che non riesce a prendere una decisione e rimane sospeso tra due mondi, Marcello che si chiede se la vita ha un significato e non si dà una risposta, temendo forse che un significato non ci sia. Marcello, che alla fine non riesce più a ascoltare e ci saluta, vestito di bianco, da una spiaggia.

La dolce vita l'ho visto per la prima volta nel 1982, da solo, in un vecchio televisore in bianco e nero da 14 pollici, e mi ci è voluta una settimana per riprendermi.

giovedì 28 gennaio 2010

Radici


Le cose succedono quando noi ce ne accorgiamo, che è un po' come dire che finché non riesci a vedere una cosa è come se non esistesse. Eppure è lì, è un fatto, c'è sempre stato.
A natale ho sentito al telefono mia cugina, quei rapporti familiari che si vorrebbe sempre stringere di più, ma che poi finiscono per incrociarsi solo alle feste comandate. Abbiamo parlato abbastanza a lungo, mi ha detto che vende casa, troppo grossa e isolata su per le montagne e ridiscende a valle, forse tornando verso Bologna, dove una volta abitava. Io le ho detto del progetto di andare a vivere a Occhiobello, e del mio amore per Ferrara. Ho scoperto così che suo padre, mio zio, amava molto Ferrara e lì aveva molti amici, molti dei quali appartenenti alla comunità ebraica.
Sulle prime ho solo registrato la cosa, ma a distanza di qualche ora, mentre mi stavo per addormentare, il pensiero si è fatto più intenso, e i collegamenti, e i ricordi.
Il giorno dopo ho chiesto a mia madre, che mi ha detto che si, ricorda vagamente dei lontani parenti ferraresi della famiglia di papà.
Per parte mia ricordavo benissimo quando papà mi raccontava che nonno era stato chiamato nel '38, a causa delle scellerate leggi razziali, a "discolparsi" di un cognome, Raffaelli, che sapeva molto di ebraico.
Come molti la mia memoria storica si ferma ai miei nonni, oltre loro  le notizie, nemmeno mai particolarmente ricercate, non vanno.
Una veloce ricerca in rete mi ha dato la conferma che il mio cognome è presente a Ferrara da tempi lontani. Il prossimo passo immagino che sarà cercare di sapere dai registri della comunità israelita se qualche Raffaelli è emigrato verso il centro Italia. O forse lasciare che rimanga questa ipotesi, sceglierla per buona, e chiudere un cerchio tornando dove vivevano i miei antenati, forse.

sabato 16 gennaio 2010

Norme comunali

Se il razzismo ha vari gradi, e se si può parlare di razzismi diversi, direi che quello di chi gli "altri" li usa e poi li vorrebbe buttare a mare, è il più rivoltante. Comunque Occhiobello per ora sembra immune dalla fregola normativa (e normalizzante) durerà anche quando mi (ci) vedranno?

sabato 9 gennaio 2010

Lo Svedese

Aveva imparato la lezione peggiore che la vita possa insegnare: che non c'è un senso. E quando capita una cosa simile la felicità non è più spontanea. È artificiale e, anche allora, comprata al prezzo di un ostinato estraniamento da se stessi e dalla propria storia. L'uomo bello e buono col suo modo indulgente di affrontare il conflitto e la contraddizione, l'ex atleta sicuro di sé ragionevole e pieno di risorse in ogni lotta con un avversario leale, si trova a doversi misurare con un avversario che leale non è - il male inestirpabile delle relazioni umane - ed è spacciato. L'uomo la cui naturale nobiltà consiste nell'essere esattamente ciò che sembrava ha dovuto patire troppe sofferenze per poter ritrovare l'ingenua integrità. Mai più lo Svedese sarà contento alla vecchia maniera fiduciosa malgrado per amore della seconda moglie e dei loro tre ragazzi (per amore della loro ingenua integrità), continui crudelmente a fingere di esserlo. Stoicamente soffoca l'orrore. Impara a vivere dietro una maschera. Una prova di resistenza durata tutta la vita. Una prestazione eccezionale realizzata su un campo in rovina. Levov lo Svedese ha una doppia vita.


Philip Roth, Pastorale americana, Einaudi

mercoledì 6 gennaio 2010

Marcello




Chi avresti voluto essere se avessi potuto scegliere? Un gioco un po' stupido che quasi tutti abbiamo fatto almeno una volta. Stupido anche perché come si fa a essere qualcun altro che non se stessi? Che se fossimo qualcun altro saremmo lui e non noi.
Insomma, il gioco è stupido, ma il sentirsi in comunione con qualcuno non lo è affatto.
Avrei voluto essere Marcello Mastroianni.
Bella forza: bello, famoso, bravo, ricco, amato.
Anche se lo sento vicino per altro, a cominciare da quello sguardo sempre un po' attonito, come di uno che si meraviglia delle cose. Anzi, come di uno che si meraviglia ANCORA delle cose. La meraviglia di Marcello, la voglia di scoprirsi ingenuo e stupito, avendo visto tutto.
Così come il suo essere senza apparire, essendo di una bellezza assoluta e struggente senza essere canonicamente bello, essendo un attore perfetto senza mai farlo apparire troppo. Insieme schivo e sfacciato. Un uomo che poteva morire schiacciato dalla sua fortuna e che invece non si è mai fatto incasellare, troppo intelligente per prendersi sul serio.
Come molti attori ha fatto film da storia del cinema e film discutibili, anche piuttosto brutti, ma che vale la pena vedere solo per la sua presenza. Un'espressione capace di redimere la più ovvia cafonata.
Ecco, essere lui no, che lui è lui e io son io. Ma averlo avuto come uno zio a cui chiedere le cose e che mi raccontasse di sè, quello si che mi sarebbe piaciuto.